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Le città invivibili. Due chiacchiere con Domenico Cosentino

Scritto da Roberta Magliocca

15 Giugno 2014

Le città invivibiliLe città invivibili. Ci sono portoni, strade, bar, scuole che parlano la lingua dei pochi che pochi, poi, non sono mai. La lingua della vita comune. Avete letto bene. Vita comune. Siamo abituati a leggere di gente comune che vive grandi storie, amori impossibili, protagonista di eroiche scelte, impegnata in carriere importanti e grandi responsabilità da sopportare, madri a cui basta l’amore di e per un figlio per andare avanti. Ma di vita comune nei libri ce n’è ben poca. Poca ma, per fortuna, non assente del tutto. Chi legge i libri di Domenico Cosentino, infatti, è la vita comune che legge. Le pagine dei suoi libri ospitano amori che, molto spesso, sono il risultato di qualche birra di troppo, un romanticismo che ha poco a che fare con i tramonti. Piuttosto sono amori da cui scappare in fretta come da un letto grande abbastanza per fare l’amore, ma troppo piccolo per contenere un dopo. La gente che vive quelle parole, di eroiche scelte non ne sa molto; se deve, sceglie. Se può, si lascia scegliere. E quasi sempre accade così. Nella battaglia con le grandi carriere, i lavoretti in nero e sottopagati hanno la meglio. Le madri di Cosentino sanno benissimo che con il solo amore non si arriva alla fine del mese. È gente che cammina strade difficili, in scarpe che fanno male anche in discesa. Partendo da Caserta, ritornando con la mente ad un pezzo di vita lasciato a Parigi, passando per Perugia.

Una Campobasso dove muovere i primi passi, una Pomigliano D’Arco che ha il sapore amaro del rimpianto; le note strazianti di una Chicago, della peggiore Chicago, di quella che non si conosce, che nulla ha a che fare con il sogno americano. E poi, ancora, Catania, Acerra. Queste sono le città di Domenico Cosentino. Le sue città invivibili. E dalle sue parole viene fuori che ognuno di noi vive una città invivibile. La vive all’interno, dentro di sé. E Domenico (per gli amici Nico), la sua città, Napoli, se la porta dentro e la proietta in ogni città che visita, in ogni mondo che vive, perché “il mondo è quello degli occhi che lo vedono, delle orecchie che lo sentono, delle mani che lo suonano” sussurra Peppe Lanzetta. E proprio come Lanzetta, Cosentino prende la sua amarezza, un pizzico di rabbia, qualche goccia di blues, una bella shakerata e giù, tutto d’un fiato, per poi vomitare parole così belle da essere pugni dritti allo stomaco. Ancora, Peppe Lanzetta dice: “Napoli, suburbio del mondo. Periferia mentale. Bronx dell’anima“. E i libri di Domenico sono la giusta continuazione di questa frase, sono una virgola laddove Lanzetta ha messo un punto. Perché Nico ci insegna che c’è una Napoli in ogni dove, perché Napoli è metafora di vita. Bellezza inesauribile e inspiegabile abbandonata a sé stessa. Perché se il disagio te lo porti dentro, non ci sarà luogo che tenga, non ci sarà città alcuna che potrai chiamare casa. Inoltre, ci dimostra come, dalla sofferenza, nascano le parole più belle. Ed ecco che arriva Pomigliano. Pomigliano Blues è il suo più grande rimpianto. È l’amara consapevolezza che “non si può tornare indietro e recuperare persone e rapporti. E tutto fa un male tremendo”.

E starei ore ed ore qui ad ascoltare la voce di questo ragazzo che parla della sua penna. Quando gli domando dove mai trovi la forza di andare avanti nonostante le mille difficoltà, mi risponde: ” Ho cominciato a scrivere perché tenermi tutto dentro era diventato impossibile. Ho continuato perché è diventato il sogno in cui credere (tutti hanno bisogno di un sogno in cui credere). Oggi scrivo per tutti quelli che gridavano sicuri <>“. Ha 31 anni Nico. Le sue esperienze, di anni, ne hanno di più. Le sue parole, di anni, ne hanno di meno. Perché gli infiniti mondi che ha dentro di sé, il blues, la scrittura, l’ironia pungente, il sarcasmo, i sentimenti che non si confondono con i facili sentimentalismi, parlare senza filtri o autocensure, sono contenuti in un’unica semplicità di cui solo i saggi e i bambini hanno conoscenza.

Ho parlato a lungo con Nico. Uno scambio di battute ed esperienze. Un duello di penne e sensazioni. Per poi capire che non c’è nulla che uno scrittore ti possa dire di sé, che tu non possa leggere nei suoi scritti. E allora vi lascio con le sue parole: “Ho sempre letto molto; da quando la mia vita è diventata impossibile, l’unico modo per sfuggire alla merda è quello di perdersi nelle parole altrui. Gli altri non possono capirmi, le altre persone sono infastidite dal dolore e cercano di evitarlo. Finchè si sta bene, non si pensa ad altro. Non cerco pietà, arrivato a questo punto non cerco più niente. Solo andare avanti fino al prossimo sogno”. (Le città invivibili, Domenico Cosentino, Palladino Editore).

Ricordate la vostra città invivibile. Odiatela se proprio non potrete farne a meno. Scappate via da lei, se necessario. Ma nei racconti e nei sogni, abbiatene cura.

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