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Sopra i tetti della speranza. Teheran Echoes.

ROBERTA MAGLIOCCA

15 Ottobre 2014

Ci sono storie che sembrano non appartenerci perché fisicamente distanti da noi. O forse perché nessuno ce ne parla, perché sono storie che faticano a pensare o anche solo ad immaginare un lieto fine. Ma poi c’è chi, vuoi per coraggio, forse per incoscienza, vuoi per lavoro o per motivi ben aldilà da tutto questo, cerca di accorciare le distanze. Carlo Maddalena e Pietro Masturzo (freelancers, rispettivamente giornalista e fotografo) nel Giugno del 2009 arrivano nella capitale Iraniana, con l’intento di seguire il momento delle elezioni che vedevano i cittadini alle prese con una scelta. O rieleggere il presidente in carica Mahmoud Ahmadinejad, o schierarsi dalla parte del riformista Mir Hossein Mousavi. Da questo mese passato nel cuore di un paese in rivolta, tra le speranze di chi lo vive, è nato “Teheran Echoes”. Questo libro è viaggio, si. Viaggio. Tra le manifestazioni pre-elettorali, le proteste nei confronti di elezioni di cui si sente il cattivo odore dell’ inganno, della farsa, tra la denuncia di ipotetici brogli e la repressione. Questo libro è incontro, si. Incontro. L’incontro con Delkash, per esempio, studentessa di architettura che sogna di fare la ballerina in un paese dove la danza è proibita. Questo libro è luce, si. Luce sul buio. Il buio mediatico, quello che vuole impedire al popolo iraniano di riunirsi e manifestare, lo stesso buio che impedisce all’estero di vederci chiaro sugli avvenimenti del paese. Questo libro è voce, si. Voce. Quella voce che senti ma non vedi. Una voce. Poi due, tre, mille voci. “Allah u Akbar” (Allah è grande). Si, le gambe, le braccia, le idee che di giorno manifestano per le strade, la sera si spostano sui tetti di Teheran e gridano “Allah è grande”. Più grande del buio, della repressione, del divieto di danzare. La “protesta dei tetti”, si legge nel libro, è stata ideata da Khomeyni nel 1979, durante la Rivoluzione Islamica contro lo Shah. Dopo trent’anni, sembra che nessuno mai sia sceso dai quei palazzi, da quei tetti sui quali voler costruire un futuro che sia il più possibile lontano da quel presente. Questo libro è Fotografia, si. Fotografia. Le foto di Pietro sono occhi aperti su una realtà che non vediamo (perché non possiamo o perché non vogliamo vederla?). Sono sfumature, luci ed ombre, sono mani e voci. Apery K. Ecer, presidente di giuria del World Press Photo, di cui la foto di Pietro è stata vincitrice, ha affermato: “Questa foto mostra l’inizio di una storia straordinaria […], riuscendo non solo a mostrare ciò che conosciamo, ma a farci interrogare su quello che vediamo”. Questo libro, infine, è Parola, si. Parola. Le parole di Carlo che hanno la capacità di portarci per le strade di Teheran, di farci conoscere gli studenti iraniani, di farsi voce, di farsi tetto.

Ci sono storie che sembrano non appartenerci perché fisicamente distanti da noi. Ma, per fortuna, c’è ancora chi è disposto a viverle per raccontarle.

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